

Giorno 1 - Dicembre 2023



Arrivati ad Amsterdam e finalmente ho chiuso il giubbotto (quello technicolor dei viaggi): non è proprio freddo eh, ma quegli onesti 9 gradi che fanno camminare con gusto, alla ricerca del calore sprigionato dalle cellule in movimento. E in questi giorni ci toccherà camminare parecchio, perché ci siamo resi conto che abbiamo toppato la scelta dell'albergo: siamo a Overamstel (e già la parola over la dice lunga su dove siamo finiti) a una decina di minuti dalla metro più vicina, lungo una strada isolata da film horror, e poi 15 minuti di metro per arrivare alla stazione centrale. Dopo il primo momento di piccola contrarietà (siamo pur sempre in vacanza e in una città tutta da esplorare), ci siamo detti che forse stare in disparte in questi giorni di festa non è poi così male: ci tuffiamo nella folla quando ci va e ci ritiriamo quando la moltitudine è troppa. E poi la metro è come una torretta di avvistamento: vedi tutto meglio. La prima cosa di cui ci siamo resi conto è che gli Amsterdammers sono mediamente molto alti, belli e sorridenti: per i primi due aspetti immagino conti la genetica degli incroci umani, per l'ultimo l'odore di canna che si respira ovunque. Sarà pure per l'effetto del fumo che aleggia in ogni dove, ma di primo acchito Amsterdam sembra una città comoda, rilassata, che amalgama i contrasti nella nebbia acre che esce dai coffee shop. A piedi o in bici (macchine quasi inesistenti) ognuno va in giro a un ritmo tutto suo e, visto i numerosissimi bar a ogni angolo, le soste sono parecchio gradite. Come la nostra: ci siamo fermati a mangiare in uno dei tradizionali caffè bruni, chiamati così perché sono tutti di legno, dove ho scoperto i pancake olandesi. Un misto tra una crepe e appunto un pancake, grande quanto un centrotavola: di una bontà infinita. Ci siamo seduti a un tavolo in condivisione, per una metà occupato da noi e per l'altra da una famiglia locale, separati solo da un candeliere che vorrei tanto nella bottega: non so come, ma mi sono sentita a casa. Poi i piedi ci hanno portato un po' qua e un po' là, tra chiese e negozietti in cui si vendevano solo preservativi o candele a forma di vagina. E tutto torna e nulla stride: in fondo siamo tutti e solo esseri umani.
Giorno 2 - Gennaio 2024






In attesa di gironzolare per la città ancora assonnata, scorro le foto dell'ultimo giorno del 2023. Innanzitutto, il vento. Io adoro il vento: mi fa sentire libera e nel vortice della natura. Fosse per me, io starei ferma in cima alle case come le banderuole a forma di gallo, a lasciare che i miei capelli si muovano nell'aria, annodandosi in cerca della direzione. E Amsterdam è la città in cui, più di altre, questa mia folle fantasia può prendere forma. C'è vento sempre, di quello teso e fresco, che sospinge e quasi alleggerisce i passi. Sarà per questo che ieri ne abbiamo fatti circa 20mila, a mettere il naso un po' dappertutto. Anche qui abbiamo trovato le mie amate panchine: belle, curate, perché il fermarsi va celebrato. Poi siamo stati in un posto che è una carezza, per chi entra e per chi c'è già: il Katten Kabinet, una casa museo di un ricco amsterdammer che alla sua morte ha lasciato la sua abitazione a un'associazione per gatti randagi, che accolgono gli ospiti da veri padroni di casa, con l'accondiscendenza di chi consente all'umano inferiore di venerarlo. Lungo un canale ci siamo poi intrufolati nell'Amsterdam Bulbs, una sorta di bosco nella città, con fiori sopra, sotto e di lato e Frank Sinatra in sottofondo. E infine, calato il buio, la magia delle luci di questa città che non ha paura o reticenze a mostrarsi: passeggiando per le strade con il naso all'insù, puoi intrufolarti nelle case e nelle vite degli altri, quasi come se la mancanza di tende fosse un tacito invito a entrare. Ne ho fotografate solo un paio e con discrezione, perché non volevo approfittarmi di tutta questa generosità: era un dono per noi che passavamo e così l'ho trattato. Infine, l'albergo nel de profundis dove alloggiamo, ci ha regalato uno spettacolo inatteso: da mezzanotte in poi il cielo di Amsterdam si è colorato di fuochi di artificio e noi 4 ce lo siamo goduto da dietro le finestre enormi, al calduccio nel letto e nel buio più completo. E così, buon anno a tutte e tutti, in qualunque finestra illuminata voi vi troviate.
Giorno 3 - Gennaio 2024
A zonzo per Haarlemmerstraat e nel quartiere De Jordaan, senza una meta precisa. Prima di pranzo la città era ancora in stato di quiete, dopo la festa della notte prima, per cui ce la siamo goduta con calma e senza rumore: in alcune stradine (nove, per la precisione, sono quelle che delimitano la zona più nota del quartiere) eravamo i soli a camminare. Ormai non temiamo più la pioggia: bastano una giacca impermeabile e un cappello e si va comunque. Anche perché gli scrosci d'acqua arrivano potenti e poi passano: basta trovare un cornicione o una piccola rientranza dove aspettare. Oggi, durante una di queste soste, abbiamo atteso con una coppia locale, uomo e donna sui 50 anni, alti, eleganti e belli da far invidia. Il lui, con accento quasi british e senza scomporsi, ha detto: "It's raining. A very peculiar Dutch attraction". Finita la pioggia, abbiamo continuato la perlustrazione del De Jordaan: è un insieme di cortili, giardini, viuzze, bar, gallerie d'arte, antiquari, dove è bello camminare lenti, per darsi il tempo di guardarsi intorno e notare i dettagli, come le cartoline esposte in una vetrina o un cuore rosso incastonato nell'asfalto. Insomma, questa città è bella, proprio bella, senza fatica, come quelle donne benedette per natura che sono di gran fascino pure con i capelli legati alla bell'e è meglio e senza un filo di trucco.
Giorno 4 - Gennaio 2024
Oggi ho scoperto la via che forse diventerà la mia preferita di Amsterdam: Utrechtsestraat. E' un viale largo, con i marciapiedi ampi e una sequenza di posti che definirli negozi è riduttivo: un fioraio, una discoteca nel senso letterale, un angolino che invita a scegliere la felicità e un paradiso per i nasi esigenti. In una sola strada abbiamo investito, non perso, tantissimo tempo. Mi sono lasciata guidare dai piccoli particolari, soffermando lo sguardo, parlando con chi all'interno di quei posti ci lavorava. La signora dei fiori era una sorta di fata delle fiabe nordiche, le mancavano solo le orecchie appuntite. Appena entrata, ho chiesto se potevo aggirarmi e dare un'occhiata e lei non mi ha risposto con il solito yes of course da manuale, ma ne sono felice, prenditi il tuo tempo. Lei sistemava i fiori e io la guardavo posizionare un fiore e poi l'altro, poi allontanarsi, chinarsi e spostare di qualche centimetro prima un fiore e poi l'altro, rispondendo a un'armonia a cui solo lei aveva accesso. Poi sono stata attirata dall'insegna di un locale che esortava a scegliere la felicità e dentro tutto contribuiva alla scelta: intagli di carta che riproducevano scene minime di vita quotidiana con millimetrica precisione; un salvadanaio a forma di razzo per risparmiare e andare sulla luna; un quadretto con una piccola volpe arancione che ora è mio. E poi c'è stato il canto della sirena, letteralmente: seguo Discoteque degli U2, che esce da una porta rossa, e finisco nel Nirvana, quello definitivo e non quello di Kurt Cobain. Tonnellate di dischi, cd, poster e musica ovunque. E poi il tocco da maestro: un bar all'interno dove sedere, prendersi un tè, semplicemente stare senza che nessuno ti misuri il tempo a suon di consumazioni. Tra la miriade di cose su cui poggiare lo sguardo, l'universo oggi, proprio oggi ha deciso di mettermi sotto gli occhi una cartolina su cui campeggia la scritta: what you pay attention to, expands. Oltre al fatto che la cartolina è ora mia, insieme alla volpe arancione, è stato come se a chilometri di distanza avessi trovato un posto tutto mio, in cui sentirmi compresa. Lo dico sempre ai ragazzi nelle scuole, quando parlo loro di comunicazione: tutto vive o muore a seconda dell'attenzione che gli date, dalla piantina all'amicizia. E mi è piaciuto tanto quell'expands che aggiunge un pezzetto in più al mantenere in vita: la capacità moltiplicatrice che ha l'attenzione di espandere le possibilità, di esplodere le potenzialità di idee, progetti, relazioni che senza quello sguardo direzionato e amorevole rimarrebbero solo delle splendide promesse. Poi i nostri passi di oggi ci hanno portato al Van Loon Museum, grazie al quale da oggi saprò associare una visione concreta all'idea di giardino segreto, e al Moco Museum, da me molto atteso ma abbastanza deludente: affollatissimo e con un'esposizione (a mio avviso) senza un racconto unitario. La giornata si è poi conclusa con delle bonissime crocchette "not so chicken" prese dal take-away coreano: con crocchette vegetali così, la via al vegetarianesimo per tutta la famiglia è spianata 🙂
Giorno 5 - Gennaio 2024
Pioggia. Tanta pioggia. Moltissima pioggia. E mentre noi camminavamo zuppi verso l'Ndsm, c'erano Amsterdammers che facevano jogging: la prova che l'essere umano è capace di adattarsi a tutto. L'esplorazione odierna ha avuto come meta il Noord, che si raggiunge dalla Stazione Centrale con battelli che fanno la spola gratuitamente da una sponda all'altra dell'Ij. All'arrivo, una piccola grande soddisfazione: il ponte era decorato a uncinetto, come i cosi brutti davanti la bottega. Lo confesso, mi sono sentita molto internescional. Poi l'Eye Filmmuseum, che è di una bellezza che non so dire: la gente all'interno lo vive in ogni suo spazio e nessuno spazio è vietato. Puoi sdraiarti, sederti, leggere, mangiare, guardare, parlare, lavorare, studiare: un'architettura pensata per essere usata e non ammirata con riverenza. Dall'Eye abbiamo poi deciso di attraversare a piedi il quartiere per raggiungere l'Nsmd, mentre l'acqua del cielo voleva ricongiungersi a quella del mare, con una pioggia incessante e fredda. Alla fine, forse per il delirio da congelamento, ci è presa a ridere: camminavamo tra cantieri, gru, edifici sgarrupati, in uno scenario post apocalittico alla 1997 - Fuga da New York, senza il conforto di un cornicione che ci riparasse anche solo per poco dalle raffiche di vento e pioggia. La zona infatti è quella di un ex porto, che ora è in fase di riqualificazione e l'Ndsm è l'acronimo dell'azienda di spedizioni navali che qui un tempo la faceva da padrona. Ora invece è il nome di un'area grandissima colonizzata da artigiani e sperimentazioni d'avanguardia, alcune a mio avviso un po' troppo pretenziose. Però c'è una cosa in questo posto che genera stupore: mentre il fuori è un alternarsi di container tra l'anonimo e il triste, il dentro sorprende per la cura e il calore. I caffè della zona sembrano quasi avamposti di resistenza morale all'intemperie esterne: più le condizioni atmosferiche sono poco ospitali, più lo sono gli umani che si ritrovano a stare insieme in ambienti confortevoli e rilassati. E puoi fermarti anche solo per aspettare al caldo il traghetto di ritorno, nei divani che sono lì per farti sedere senza l'obbligo di consumazione. È come se in questi posti la priorità fosse incontrarsi, tutto il resto viene dopo.