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Nico che scrive cose

Diario minimo di piccoli fattarelli quotidiani

Volevo diventare Giulia

15 novembre 2024

Mio padre lavorava in una casa editrice: ne curava l'amministrazione.

Quando andavo al lavoro da lui, nei giorni di festa da scuola, l'obbligo perentorio era di stare ferma seduta a una scrivania e disegnare.

Dovevo fare meno rumore possibile, come sempre del resto.

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Così, quando la sorveglianza si allentava, scendevo di un piano e andavo nel luogo delle meraviglie: il reparto dove c'erano i grafici e si montavano i libri.

Lì ho capito cosa avrei voluto fare da grande: volevo essere Giulia.

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Sono cresciuta circondata da donne che andavano a dormire con i bigodini in testa (una tortura indicibile e senza senso) per essere sempre a posto.

Nel mio mondo femminile di allora c'erano anche lo scarpe con il tacco, perché slanciano e donano una bella andatura; gonne al ginocchio e vita stretta, perché mettono in risalto la figura.

Insomma, il tipo di donna che si vede nei film in bianco e nero degli anni 50: d'altronde mia madre è nata nel millenovecentotrentasei.

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Poi un giorno, scendo di un piano e rimango folgorata: Giulia è la capa dei grafici, ha i capelli ricci, spettinati, gonfi, indossa pantaloni larghissimi con sotto delle ballerine che non la alzano di un centimetro, ti guarda attraverso una montatura degli occhiali grande, spessa e nera e ride forte quando le pare.

Giulia gira per il mondo, per le fiere dei libri, perché va in esplorazione di forme nuove da dare ai libri.

Volevo diventare quella cosa lì, e sbarazzarmi di bigodini, tailleur e dolore ai piedi.

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Alla fine del liceo, cerco di mettere in atto il mio piano e propongo a mio padre di iscrivermi allo IED: non se ne parla, troppo costoso e poi non è un'università. Prova architettura.

Così mi iscrivo ma affogo tra assonometrie e algoritmi.

Ormai consapevole che quella non era la mia tazza di tè, vado in cerca di una facoltà in cui potessi leggere, capire e ripetere.

Giurisprudenza mi sembrava che rispondesse a quei criteri.

Un amico di allora, che legge già la faceva, mi fa: ma tu che c'entri co' sta roba qui? Guarda che hanno appena attivato un nuovo corso di laurea che fa proprio al caso tuo. Sta a via Salaria, vai a dare un'occhiata.

Così ho fatto.

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Test di ammissione a ottobre e a novembre mi iscrivo a Scienze della Comunicazione:

non solo era la mia tazza di tè, era tutto il servizio di porcellana finissima con biscottini inclusi.

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Ho conosciuto amiche che amiche lo sono ancora; ho assistito a lezioni dove noi studenti rimanevano a bocca aperta, appesi come grappoli d'uva, ad ascoltare professori che ammaliavano come incantatori di serpenti: tra i tanti, Simona Colarizi, le cui lezioni di storia contemporanea erano come concerti rock.

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Quella facoltà mi ha consegnato il mestiere che amo e sì, mi ha avvicinato all'idea di quello che a tredici anni volevo diventare: una che si vedeva che era appassionata di quello che faceva.

E senza tacchi, of course.

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Nessun atto di gentilezza, per quanto piccolo, è sprecato.

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Tutto quello che facciamo ha a che fare con le parole.

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Comunichiamo idee, raccontiamo chi siamo, ci relazioniamo con gli altri.

Eppure, sebbene il linguaggio sia capace di farci stare nel mondo, raramente prestiamo attenzione a come lo utilizziamo.

Anche nelle comunicazioni più piccole e all'apparenza irrilevanti.

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Ricevo una gran quantità di email, dove dirsi buongiorno e prendere commiato con un saluto sembra una perdita di tempo, un intralcio al correre frenetico alla prossima email, anche se il risparmio non è che di qualche secondo.

Anche il nome ha smesso di comparire: al posto della sua grafia completa, c'è chi usa solo la lettera iniziale e chi nemmeno quella contando sulla firma aziendale.

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Io già da come vedo l'email, a prescindere dal contenuto, mi faccio un'idea di chi ho al di là dello schermo e, lo confesso, do priorità di risposta a chi è più gentile.

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Non dovremmo dimenticare mai che le parole spingono all'azione.

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Nel mio caso, la mancanza di un saluto, un per favore o un grazie, fa desistere le mie dita da cliccare su replay, fino a quando proprio non devo.

E buona giornata a tutti

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